domenica 30 settembre 2012

Connettivi testuali

I CONNETTIVI TESTUALI

I connettivi testuali sono avverbi, congiunzioni, locuzioni avverbiali, complementi o anche intere frasi che connettono una parte di testo alla successiva ( frasi, periodi, paragrafi) mostrando il  rapporto logico che esiste tra di loro.
 Attenzione!
Non sempre i connettivi sono presenti nel testo, a volte una parte di testo è unita ad un’altra da un legame logico sottinteso.
Ecco l’elenco dei connettivi più in uso:
connettivi temporali: indicano ordine cronologico
- anteriorità: prima, in precedenza, qualche giorno fa, allora, anticamente, una volta, a quei tempi, proprio allora
- contemporaneità: ora, adesso, mentre, nel frattempo, intanto che, a questo punto, in questo momento, in questo istante.
- posteriorità: alla fine, successivamente, dopo molto tempo, dopo vario anni, poi, in seguito, quindi
connettivi spaziali: indicano i rapporti spaziali secondo cui sono costruite le descrizioni o si sviluppano le azioni
- dove, lì, là, sopra, sotto, verso, in direzione di, a destra, a sinistra, fino a, all’interno, all’esterno.
connettivi logico-causali: indicano una successione
-in cui la causa precede l’effetto: ne deriva che, di conseguenza, quindi, dunque, pertanto, perciò, da ciò si deduce che, così che
 -o l’effetto precede la causa: dato che, siccome, poiché, perché, dal momento che
connettivi prescrittivi: indicano l’ordine rigorosamente bloccato delle azioni da compiere
- prima di tutto, innanzitutto, in primo luogo, poi, in secondo luogo, in terzo luogo ecc, infine, in sintesi, in conclusione, insomma, dunque.
connettivi  d’importanza: indicano l’importanza delle varie informazioni e stabiliscono tra esse una gerarchia
- In primo luogo, anzitutto, prima di tutto, a questo punto, inoltre, si aggiunga il fatto che, oltre a questo, oltre a ciò, oltre a quanto è stato detto, poi, infine, non ci resta che, e, anche, pure, nello stesso modo, comincerò…
connettivi di spiegazione: introducono una spiegazione o un’esemplificazione
- cioè, infatti, ad esempio, in altre parole, per quanto riguarda, tra l’altro, in sintesi
connettivi di opposizione: introducono un’opposizione a quanto si è detto prima
- ma, invece, ciononostante, malgrado ciò, tuttavia, pure, nondimeno, eppure, mentre, al contrario
connettivi di ipotesi: se è vero che, ammettendo che, nel caso in cui, partendo dal presupposto che, ipoteticamente, poniamo il caso che
anche i due punti hanno la funzione di un connettivo: stanno al posto di cioè, infatti, ad esempio, introducono la causa o la conseguenza di un fatto

Congiunzioni coordinanti e congiunzioni subordinanti

La congiunzione è una parola che serve ad unire due parole tra di loro o due proposizioni tra di loro. La congiunzione non varia in base al genere e al numero, ma resta invariabile.  Vi sono diversi tipi di congiunzioni.

Congiunzioni coordinanti La congiunzione si dice coordinante quando unisce due parole o due proposizioni che possono stare da sole tra di loro, in quanto nessuna delle due dipende dall'altra.  Sono congiunzioni coordinanti:

tipo
funzione
esempio
copulative:
e, ed, né, anche, pure, inoltre, perfino, neanche, nemmeno, neppure, ecc
uniscono due parole simili o due proposizioni simili
Vogliamo giocare e guadagnare euro.
Non andrò da lei gli manderò un SMS.
alternative: o, oppure, altrimenti, ovvero
uniscono due elementi uno dei quali esclude l'altro
Antonio cammina o sta fermo.
avversative: ma, però, eppure, tuttavia, al contrario, anzi, piuttosto, invece, mentre, eppure
uniscono due elementi di cui il secondo limita il significato del primo
Lo invitai a cena, ma non venne.
Non mi sento bene, tuttavia vado a scuola ugualmente.
correlative: sia ... sia
o ... o
e .... e
nè   ... né
non solo ... ma anche
tanto ... quanto
così ... come
mettono in collegamento due elementi tra di loro
O pago io o paghi tu.
Non venne lui sua moglie.



Congiunzioni subordinanti La congiunzione si dice subordinante quando unisce due parole o due proposizioni che non possono stare da sole tra di loro, in quanto una delle due dipende dall'altra. Sono congiunzioni subordinanti:
tipo
funzione
esempio
dichiarative:
che, come
introducono una proposizione che completa il significato della principale
Penso che lei verrà.
Dico che lui sa tutto.
causali: poiché, perché, siccome, dato che, giacché
introducono una proposizione che spiega la causa della principale
Mi piace il bosco perché è pieno di querce.
temporali: quando, allorché, mentre, finché, appena che, dopo che
introducono una seconda proposizione che indica il tempo della principale
Lucia è arrivata mentre cenavo.

finali
affinché, perchè...
introducono una seconda proposizione che indica il fine, lo scopo della principale
Te lo ripeto perché tu lo capisca bene
consecutive(tanto) ..che, (così)..che, (a tal punto)..che..
introducono una proposizione che indica la conseguenza dell’azione della principale
Era così stanco che si addormentò subito
concessive
nonostante, sebbene, anche se..
introducono una proposizione che indica un fatto nonostante il quale avviene l’azione
Sebbene abbia smesso di nevicare, resta a casa
condizionali
se, a condizione che, qualora, purchè...
introducono una proposizione che indica ciò che deve  accadere perchè si verifichi quanto detto nella principale
Se non lo dici a nessuno ti svelerò un segreto
avversative
mentre, quando, invece di..
introducono una proposizione che indica un’azione che si contrappone a quella della principale
Continua a negare l’evidenza, quando (mentre) tutto è contro di lui







martedì 25 settembre 2012

Libertà - Giovanni Verga

"Libertà"di Giovanni Verga

Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza:- Viva la libertà! Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche, le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola.
- A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri! - Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie.   - A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato l'anima! – A  te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! - A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente! - A te, guardaboschi! che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno!
E il sangue che fumava ed ubriacava. Le falci, le mani, i cenci, i sassi, tutto rosso di sangue!
- Ai galantuomini! Ai cappelli! Ammazza! ammazza! Addosso ai cappelli!
Don Antonio sgattaiolava a casa per le scorciatoie. Il primo colpo lo fece cascare colla faccia insanguinata contro il marciapiede.
- Perché? perché mi ammazzate? - Anche tu al diavolo! - Un monello sciancato raccattò il cappello bisunto e ci sputò dentro.
- Abbasso i cappelli! Viva la libertà! - Te'! tu pure! - Al reverendo che predicava l'inferno per chi rubava il pane. Egli tornava dal dir messa, coll'ostia consacrata nel pancione. - Non mi ammazzate, ché sono in peccato mortale! - La gnà Lucia, il peccato mortale; la gnà Lucia che il padre gli aveva venduta a 14 anni, l'inverno della fame, e riempiva la Ruota e le strade di monelli affamati! - Se quella carne di cane fosse valsa a qualche cosa, ora avrebbero potuto satollarsi, mentre la sbrandellavano sugli usci delle case e sul ciottoli della strada a colpi di scure.
Anche il lupo allorché capita affamato in una mandra, non pensa a riempirsi il ventre, e sgozza dalla rabbia. - Il figliuolo della Signora, che era accorso per vedere cosa fosse - lo speziale, nel mentre chiudeva in fretta e in furia - don Paolo, il quale tornava dalla vigna a cavallo del somarello, colle bisacce magre in groppa. Pure teneva in capo un berrettino vecchio che la sua ragazza gli aveva ricamato tempo fa, quando il male non aveva ancora colpito la vigna. Sua moglie lo vide cadere dinanzi al portone, mentre aspettava coi cinque figliuoli la scarsa minestra che era nelle bisacce del marito. - Paolo! Paolo! - Il primo lo colse nella spalla con un colpo di scure. Un altro gli fu addosso colla falce, e lo sventrò mentre si attaccava col braccio sanguinante al martello.
Ma il peggio avvenne appena cadde il figliuolo del notaio, un ragazzo di undici anni, biondo come l'oro, non si sa come, travolto nella folla. Suo padre si era rialzato due o tre volte prima di trascinarsi a finire nel mondezzaio, gridandogli:- Neddu! Neddu! – Neddu fuggiva, dal terrore, cogli occhi e la bocca spalancati senza poter gridare. Lo rovesciarono; si rizzò anch'esso su di un ginocchio come suo padre; il torrente gli passò disopra; uno gli aveva messo lo scarpone sulla guancia e gliel'aveva sfracellata; nonostante il ragazzo chiedeva ancora grazia colle mani. - Non voleva morire, no, come aveva visto ammazzare suo padre; - strappava il cuore! - Il taglialegna, dalla pietà, gli menò un gran colpo di scure colle due mani, quasi avesse dovuto abbattere un rovere di cinquant'anni - e tremava come una foglia. - Un altro gridò: -Bah! egli sarebbe stato notaio, anche lui!
Non importa! Ora che si avevano le mani rosse di quel sangue, bisognava versare tutto il resto. Tutti! tutti i cappelli! - Non era più la fame, le bastonate, le soperchierie che facevano ribollire la collera. Era il sangue innocente.
Le donne più feroci ancora, agitando le braccia scarne, strillando d'ira in falsetto, colle carni tenere sotto i brindelli delle vesti.
 - Tu che venivi a pregare il buon Dio colla veste di seta! - Tu che avevi a schifo d'inginocchiarti accanto alla povera gente! - Te'! Te'! - Nelle case, su per le scale, dentro le alcove, lacerando la seta e la tela fine.
Quanti orecchini su delle facce insanguinate! e quanti anelli d'oro nelle mani che cercavano di parare i colpi di scure!
La baronessa aveva fatto barricare il portone: travi, carri di campagna, botti piene, dietro; e i campieri che sparavano dalle finestre per vender cara la pelle almeno.  La folla chinava il capo alle schioppettate, perché non aveva armi da rispondere. Prima c'era la pena di morte per chi tenesse armi da fuoco.
- Viva la libertà! – E sfondarono il portone. Poi nella corte sulle gradinate, scavalcando i feriti. Lasciarono stare i campieri. - I campieri dopo! - Prima volevano le carni della baronessa, le carni fatte di pernici e di vin buono.
Ella correva di stanza in stanza col lattante al seno, scarmigliata - e le stanze erano molte. Si udiva la folla urlare per quegli andirivieni, avvicinandosi come la piena di un fiume. Il figlio maggiore, di 16 anni, ancora colle carni bianche anch'esso, puntellava l'uscio colle sue mani tremanti, gridando: - Mamà! Mamà! - Al primo urto gli rovesciarono l'uscio addosso. Egli si afferrava alle gambe che lo calpestavano. Non gridava più. Sua madre s'era rifugiata nel balcone, tenendo avvinghiato il bambino, chiudendogli la bocca colla mano perché non gridasse, pazza. L'altro figliolo voleva difenderla col suo corpo, stralunato, quasi avesse avute cento mani, afferrando pel taglio tutte quelle scuri. Li separarono in un lampo. Uno abbrancò lei pei capelli, un altro per i fianchi, un altro per le vesti, sollevandola al di sopra della ringhiera. Il carbonaio le strappò dalle braccia il bambino lattante. L'altro fratello non vide niente; non vedeva altro che nero e rosso. Lo calpestavano, gli macinavano le ossa a colpi di tacchi ferrati; egli aveva addentato una mano che lo stringeva alla gola e non la lasciava più. Le scuri non potevano colpire nel mucchio e luccicavano in aria.
E in quel carnevale furibondo del mese di luglio, in mezzo agli urli briachi della folla digiuna, continuava a suonare a stormo la campana di Dio. Fino a sera, senza mezzogiorno, senza avemaria, in quel paese di turchi. Infine si sbandarono, stanchi della carneficina, mogi, mogi, ciascuno fuggendo il compagno. Prima di notte tutti gli usci erano chiusi, paurosi, e in ogni casa vegliava il lume.
Per le stradicciole non si udivano altro che i cani, frugando per i canti, con un rosicchiare secco di ossa, nel chiaro di luna che lavava ogni cosa, e mostrava spalancati i portoni e le finestre delle case deserte.
Aggiornava; una domenica senza gente in piazza né messa che suonasse. Il sagrestano s'era rintanato; di preti non se ne trovavano più. I primi che cominciarono a far capannello sul sagrato si guardavano in faccia sospettosi; ciascuno ripensando a quel che doveva avere sulla coscienza il vicino. Poi, quando furono in molti, si diedero a mormorare, ciascuno accusando l’altro.  – Neppure la messa di domenica, come in paese dei cani! –
Il casino dei galantuomini era sbarrato, e non si sapeva dove andare a prendere gli ordini dei padroni per la settimana.
Dal campanile penzolava sempre il fazzoletto tricolore, floscio, nella caldura gialla di luglio. E come l'ombra s'impiccioliva lentamente sul sagrato, la folla si ammassava tutta in un canto. Fra due casucce della piazza, in fondo ad una stradicciola che scendeva a precipizio, si vedevano i campi giallastri nella pianura, i boschi cupi sui fianchi dell'Etna. Ora dovevano spartirsi quei boschi e quei campi. Ciascuno fra di sé calcolava colle dita quello che gli sarebbe toccato di sua parte, e guardava in cagnesco il vicino.
- Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti! –
 Quel Nino Bestia, e quel Ramurazzo, avrebbero preteso di continuare le prepotenze dei cappelli! - Se non c'era più il perito per misurare la terra, e il notaio per metterla sulla carta, ognuno avrebbe fatto a riffa e a raffa! - E se tu ti mangi la tua parte all'osteria, dopo bisogna tornare a spartire da capo? - Ladro tu e ladro io. - Ora che c'era la libertà, chi voleva mangiare per due avrebbe avuto la sua festa come quella dei galantuomini! - Il taglialegna brandiva in aria la mano quasi ci avesse ancora la scure.
Il giorno dopo si udì che veniva a far giustizia il generale, quello che faceva tremare la gente al solo guardarla.
Si vedevano le camicie rosse dei suoi soldati salire lentamente per il burrone, verso il paesetto; sarebbe bastato rotolare dall'alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma chi? Gli uomini erano già fuggiti in gran parte, al monte o al piano; e le donne, quelle che prima erano più feroci, ora facevano festa ai giovanetti colle camicie rosse che arrivavano stanchi e curvi sotto il fucile; e battevano le mani a quel generale che sembrava più piccolo sopra il suo gran cavallo nero, innanzi a tutti, solo, con certi occhi che si mangiavano la gente.
Il generale fece portare della paglia nella chiesa, e mise a dormire i suoi ragazzi come un padre. Ma la mattina, prima dell'alba, se non si levavano al suono della tromba, entrava nella chiesa a cavallo, sacramentando come un turco. Questo era l'uomo. E subito ordinò che glie ne fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano, Pizzanello, i primi che capitarono. Il taglialegna, mentre lo facevano inginocchiare addosso al muro del cimitero, piangeva come un ragazzo, per certe parole che gli aveva dette sua madre, e pel grido che essa aveva cacciato quando glielo strapparono dalle braccia.
Da lontano, nelle viuzze più remote del paesetto, dietro gli usci, si udivano quelle schioppettate in fila come mortaretti della festa.
Dopo arrivarono i giudici di professione, dei galantuomini cogli occhiali, arrampicati sulle mule, disfatti dal viaggio, che si lagnavano ancora dello strapazzo mentre interrogavano gli accusati nel refettorio del convento, seduti di fianco sulla scranna, dicendo - ahi! ahi! - ogni volta che si movevano. Un processo lungo che non finiva più. I colpevoli li condussero in città, a piedi, incatenati a coppia, fra due file di soldati col moschetto pronto. Le loro donne dietro, correndo per le lunghe strade di campagna, in mezzo ai solchi, in mezzo ai fichidindia, in mezzo alle vigne, in mezzo alle biade color d'oro, trafelate, zoppicando, chiamando a nome i loro uomini ogni volta che la strada faceva gomito, e si potevano vedere in faccia.
Alla città li chiusero nel gran carcere alto e vasto come un convento, tutto bucherellato da finestre colle inferriate. Ma il processo andò per le lunghe: coloro che aspettavano la forca, chiusi in carcere, e le loro donne per le strade, lì intorno, lacere e affamate a guardare quelle inferriate esse pure, sotto la minaccia delle sentinelle, senza tetto.
E i poveretti divenivano sempre più gialli in quell'ombra perenne, senza scorgere mai il sole. Ogni lunedì erano più taciturni, rispondevano appena, si lagnavano meno. Gli altri giorni, se le donne ronzavano per la piazza attorno alla prigione, le sentinelle minacciavano col fucile. Poi non sapere che fare, dove trovare lavoro nella città, né come buscarsi il pane. Il letto nello stallazzo costava due soldi; il pane bianco si mangiava in un boccone e non riempiva lo stomaco; se si accoccolavano a passare una notte sull'uscio di una chiesa, le guardie le arrestavano.
A poco a poco se ne tornarono a casa, prima le mogli, poi le mamme. Un bel pezzo di giovinetta si perdette nella città e non se ne seppe più nulla. Tutti gli altri in paese erano tornati a fare quello che facevano prima; già i galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini. Così fu fatta la pace.
L'orfano dello speziale rubò la moglie a Neli Pirru – almeno giocargli quel tiro a chi gli aveva ucciso il padre! – E a lei che aveva di tanto in tanto degli scrupoli, e temeva che suo marito le tagliasse la faccia, all'uscire dal carcere, diceva: - Sta tranquilla ché non ne esce più! –
Ormai nessuno ci pensava; solamente qualche madre, qualche vecchiarella, se gli correvano gli occhi verso la pianura dov’era la città, o la domenica, al vedere gli altri che parlavano tranquillamente dei loro affari coi galantuomini, dinanzi al casino di conversazione, col berretto in mano, e si persuadevano che all'aria vanno i cenci.
Il processo tre anni, nientemeno! tre anni di prigione e senza vedere il sole. Sicchè quegli accusati parevano tanti morti della sepoltura, ogni volta che li conducevano ammanettati al tribunale. tutti quelli che potevano erano accorsi dal villaggio: testimoni, parenti, curiosi, come a una festa, per vedere i compaesani, dopo tanto tempo, stipati nella capponaia - che capponi davvero si diventava là dentro ! e Neli Pirru, doveva vedersi sul mostaccio quello dello speziale, che s'era imparentato a tradimento con lui!
Li facevano alzare in piedi ad uno ad uno. - Voi come vi chiamate? - e ciascuno si sentiva dire la sua, nome e cognome e quel che aveva fatto. Gli avvocati armeggiavano fra le chiacchiere, coi larghi maniconi pendenti, e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca, se l’asciugavano col fazzoletto, o ci tiravano su una presa di tabacco. I giudici sul loro scanno, dietro le lenti, in soggolo e toga. E anche dall’altro lato, seduti in fila sui loro scanni, dodici galantuomini che sbadigliavano e si grattavano la barba, o ciangottavano fra di loro. Certo, pensavano, forse l'abbiamo scampata bella a non essere stati fra i galantuomini del paesetto, lassù dove s’era fatta la libertà. E quei poveretti cercavano di leggere nelle loro facce. Poi se ne andarono a confabulare fra di loro e gli imputati aspettavano pallidi e cogli occhi fissi su quell'uscio chiuso. Come rientrarono, il loro capo, quello che parlava colla mano sulla pancia, ed era quasi pallido al pari degli accusati e disse: - Sul mio onore e sulla mia coscienza! ...
Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: - Dove mi conducete? - In galera? - O perché? Se non ho avuto nemmeno un palmo di terra! … Se avevano detto che c'era la libertà! ...

 
Commento


La novella si ispira ad un fatto realmente accaduto. A Bronte, un paese non lontano da Catania, nei giorni dal 2 al 5 agosto 1860 la popolazione, formata in gran parte da poveri contadini, si sollevò contro i locali proprietari terrieri. Il periodo storico è quello della spedizione dei Mille in Sicilia, al comando di Garibaldi e Nino Bixio. Dopo la caduta del governo borbonico, c'erano stati vari proclami rivoluzionari, secondo i quali la terra, già di proprietà di pochi galantuomini (così venivano detti i proprietari terrieri), doveva essere distribuita ai capifamiglia contadini.
Queste le ragioni della rivolta, quindi: le condizioni miserevoli dei contadini, la fame, il desiderio di «libertà» dalla schiavitù e dalla miseria. Si tenga anche presente che la popolazione siciliana, in gran parte, aiutò Garibaldi ed i Mille nella vittoriosa guerra contro i Borboni, proprio perché vedeva in questa la possibilità di un miglioramento della sua condizione di vita.
La rivolta di Bronte fu sanguinosa, e si risolse in un eccidio tremendo. Venne repressa personalmente da Nino Bixio, che fece fucilare alcuni dei rivoltosi (talvolta, come accade in queste circostanze, prendendo quasi a caso quelli che dovevano essere giustiziati). Gli altri vennero condannati e incarcerati a vita.
Verga riferisce con esattezza la storia con il suo contenuto drammatico. Descrive le uccisioni, la psicologia della folla impazzita, i drammi. Si noti, ad esempio, l'uso di paragoni tratti dalla natura: i rivoltosi sono come un «torrente», come la «piena del fiume», e travolgono tutto senza ormai rendersi conto di ciò che fanno.
Passata la follia e finito l'eccidio, il giorno che sorge porta una calma strana e piena di paure; i soldati che arrivano e fucilano sono accolti quasi con un senso di liberazione; la tragedia che si è consumata ha lasciato tutti stravolti ed esterrefatti. Alla fine, tutto torna come prima: i «signori» al loro posto, i poveri contadini sempre più poveri. La tragedia si è chiusa, e non è servita a niente. Solo i condannati continueranno a chiedersi il perché, gridando che loro volevano solo «la libertà».
E’ un mondo senza speranza, che neppure la vittoria garibaldina ed il cambio di Re riescono a mutare

I problemi dopo l’Unità

Due Italie che faticano a fondersi.
"Costituire l’Italia, fondere insieme gli elementi diversi di cui si compone, armonizzare il Nord con il Sud, offre tante difficoltà quante una guerra contro l’Austria e la lotta con Roma." Così scriveva Camillo Benso conte di Cavour poco prima della sua morte.
In effetti unificare realmente il Sud al Nord costò di fatto una guerra. Non ci riferiamo all’impresa dei Mille, ma al lungo conflitto (1861-64) che oppose l’esercito regolare italiano a bande di contadini ribelli che erano presenti soprattutto nell’entroterra campano, lucano e pugliese. Questi contadini ribelli si organizzarono in bande non certo per il desiderio di un ritorno al passato ma spinti dall’insensibilità della nuova classe politica alla loro fame e miseria. Il nuovo stato italiano, dopo gli entusiasmi collettivi della guerra garibaldina e dei plebisciti, era apparso ai contadini poveri del Sud come un organismo estraneo.

Chi paga il prezzo dell'unificazione.

L’unificazione politica ebbe un importante risvolto economico: essa fu determinante per la formazione di un mercato nazionale.
Questo processo fu voluto dalla borghesia imprenditoriale del Nord e costituì un fattore di progresso per l’economia italiana.
Esso tuttavia ebbe anche degli effetti molto negativi. L’industria italiana restò concentrata nel Nord, mentre il Sud si sviluppava con molta lentezza. Veniva a formarsi così la questione meridionale, cioè la frattura fra il Nord industrializzato e il Meridione economicamente arretrato.
Per pagare i debiti dello stato, per costruire ferrovie, strade e ospedali vennero aumentate le imposte sui consumi e quindi vennero danneggiati i ceti più poveri.
L’unificazione italiana ebbe i suoi costi e a pagarli furono il Meridione e i ceti popolari.

L' Unità d'Italia

Al momento dell'Unità l'agricoltura era l'attività economica nettamente prevalente nel paese, si trattava però di un'agricoltura per lo più povera. Morto Cavour (giugno '61), il gruppo dirigente che tenne le redini del paese proseguendone l'opera fu quello della Destra.
Le si contrapponeva la Sinistra, che faceva proprie le rivendicazioni della democrazia risorgimentale. Destra e Sinistra erano espressione di una classe dirigente molto ristretta: il che diede un carattere accentrato e personalistico alla vita politica. I leaders della Destra realizzarono una rigida centralizzazione. Tra le circostanze che li spinsero in tale direzione va ricordata soprattutto la situazione del Mezzogiorno, dove l'ostilità delle masse contadine verso i "conquistatori" assunse col brigantaggio caratteristiche di vera e propria guerriglia.
Il brigantaggio fu sconfitto grazie a un massiccio impiego dell'esercito; restò tuttavia irrisolto il problema di fondo del Mezzogiorno, cioè quello della terra (latifondismo)
Sul piano economico, la linea liberista seguita dal governo produsse un'intensificazione degli scambi commerciali che favorì lo sviluppo dell'industria e consentì l'inserimento del nuovo Stato nel contesto economico europeo. 
Il tenore di vita della popolazione non migliorò a causa della dura politica fiscale seguita dalla Destra, soprattutto quando, dopo il '66, alla necessità di coprire gli ingenti costi dell'unificazione si sommarono le conseguenze di una crisi internazionale e le spese per la guerra contro l'Austria.
Il completamento dell'unità costituì uno dei problemi più difficili che la Destra si trovò di fronte. Falliti i tentativi di conciliazione con la Chiesa, riacquistava spazio l'iniziativa dei democratici; nel 1862 l'iniziativa garibaldina di una spedizione di volontari si risolse in uno scontro con l'esercito regolare (Aspromonte).
Nel 1864 fu firmata la Convenzione di settembre con la Francia, che prevedeva il trasferimento della capitale a Firenze. L'alleanza con Bismarck contro l'Austria e la vittoria prussiana consentirono nel 1866 l'acquisto del Veneto.
Il problema della conquista di Roma potè risolversi inaspettatamente con la caduta del Secondo Impero, che permise al governo italiano la presa della città (1870).
Nel marzo 1876, il governo fu battuto alla Camera su un progetto di legge relativo alla statalizzazione delle ferrovie. Il nuovo governo presieduto da Depretis segnava il definitivo allontanamento della Destra dal potere. Il governo della Sinistra approvò la legge Coppino sull'istruzione e fece la riforma elettorale dell' '82, che allargò anche se di poco la base elettorale.  Se si escludono le zone più sviluppate del Nord, l'agricoltura italiana versava in condizioni assai arretrate, situazione ulteriormente aggravata dalle ripercussioni della crisi agraria, tra i cui effetti vi fu un rapido incremento dell'emigrazione.
La crisi agraria finì col favorire indirettamente il "decollo" industriale italiano, si affermò cosl una linea di appoggio dello Stato all'industria che si manifestò anzitutto nell'adozione di tariffe protezionistiche (1878 e 1887). Il protezionismo era una strada obbligata per l'industrializzazione del paese. Restava, e anzi si aggravava, lo squilibrio economico tra Nord e Sud.
La stipulazione della Triplice Alleanza (1882) costringeva l'Italia a rinunziare implicitamente alla rivendicazione del Trentino e Venezia Giulia, tenuta viva dal movimento irredentista. 
Fu avviata in quegli anni un'espansione coloniale sulle coste del Mar Rosso. Il tentativo di estendersi verso l'interno portò al contrasto con l'Etiopia e all'eccidio di Dogali (1887).
Gli anni '80 videro una notevole crescita del movimento operaio, con la fondazione delle federazioni di mestiere e Camere del Lavoro, leghe bracciantili e cooperative agricole.
Nel 1892 fu fondato il Partito dei Lavoratori Italiani (poi Partito Socialista). La presenza cattolica nella società italiana, soprattutto nelle campagne, era massiccia. L'Opera dei Congressi sorse per organizzare tale presenza, secondo una linea di rigida opposizione al liberalismo e al socialismo. Alla morte di Depretis (1887) divenne presidente del Consiglio Crispi: la sua politica autoritaria e repressiva si accompagnò a una importante riorganizzazione dell'apparato statale.
Nettamente diversa la politica di Giolitti, a capo del governo nel '92-93, imperniata su una più equa pressione fiscale e su una linea non repressiva nei confronti dei conflitti sociali.