venerdì 19 aprile 2013

Imparare a prendere appunti

Inserisco il materiale che vi ho illustrato stamani


Il Cornell notes taking system fornisce una struttura sistematica per scrivere, sintetizzare e organizzare gli appunti.
Come si fa?
Per usare questo sistema bisogna innanzitutto “organizzare” il quaderno, con fogli preferibilmente a righe e con i ganci, suddividendo ciascun foglio in tre sezioni. Per fare ciò, si comincia tracciando con un pennarello una linea orizzontale a circa 5-6 righe dal fondo. Questa è la parte in cui si scriverà una sintesi degli appunti presi. E’ importante cominciare proprio dallo spazio per il riassunto perché una volta che si inizia a prendere appunti si potrebbe dimenticare di includerlo.  Fatto questo, si suddivide la parte superiore del foglio in due colonne di larghezza diversa,  tracciando una riga verticale a circa 5 cm dal bordo sinistro del foglio andando dal margine superiore fino alla linea orizzontale appena tracciata. La colonna di destra, più larga, è quella in cui verranno presi gli appunti, mentre quella di sinistra, più piccola, servirà per la rielaborazione successiva quandi si inseriranno informazioni molto generali: titoli, parole chiave, lessico specifico. Gli appunti possono essere presi per punti, in ordine gerarchico (grande idea, idea specifica, dettagli), con un disegno, un diagramma, un grafico o comunque in qualunque modo si ritenga utile.
Cosa fare
1.    Annotare. Per prima cosa, naturalmente, si usa la colonna di destra per prendere appunti durante la lezione, scrivendo quanti più fatti, idee e concetti possibili. Per non rimanere indietro, è meglio non scrivere frasi complete ma utilizzare delle abbreviazioni. Ce ne sono di vario tipo (come, ad esempio, quelle consigliate nel sito dell’ITIS Fermi di Frascati ) e possono essere anche molto personali. L’importante è che gli studenti siano poi in grado di ricostruire la parola che hanno abbreviato. A tal scopo può essere utile far fare una legenda delle abbreviazioni da inserire nel quaderno in modo da assicurarsi di essere in grado di capire quanto scritto anche in un secondo momento. Tra un’idea e l’altra è bene tracciare una linea di separazione. Gli appunti possono comprendere anche disegni, grafici e diagrammi.
2.    Formulare domande. Appena possibile, preferibilmente entro 24 ore, è importante rivedere gli appunti per estrarne le idee principali, i punti chiave, date e persone da riportare nella colonna di sinistra, possibilmente con una parola, o un termine specifico. Poi, partendo sempre dagli appunti presi, si formulano domande che vengono scritte sempre nella colonna di sinistra in corrispondenza degli appunti relativi (ossia della risposta alla domanda stessa). Tutto ciò aiuta a chiarire significati, mostrare relazioni, rafforzare la memoria e sarà molto utile anche per ripassare prima di una verifica o di una interrogazione.
3.   Ripetere ad alta voce. Coprire con un foglio di carta la colonna di destra (o ripiegare il foglio fino a far corrispondere il margine destro con la linea che separa le due colonne) e partendo da quanto scritto nella colonna di sinistra, a voce alta e con le proprie parole, rispondere alle domande e/o spiegare i fatti o le idee contenute nelle parole chiave. Quindi verificare quanto detto controllando gli appunti presi.
4.    Riflettere. Riflettere su quanto scritto facendosi altre domande come ad esempio: qual è il significato di questi fatti? Qual è il principio che sta alla base di ciò? Come posso applicarlo? In che modo questi fatti concordano con quanto conosco già?
5.    Riassumere. Infine, nella sezione dedicata in fondo alla pagina, scrivere un riassunto, di poche frasi, delle idee principali discusse durante la lezione. Per aiutarsi, ci si potrebbe chiedere: “Se dovessi spiegare queste idee a qualcun altro, cosa dovrei dire?” In altre parole: come potrei spiegarlo a qualcuno che non l’ha mai sentito prima?
6.    Ripassare. Passare almeno 10 minuti ogni settimana rivedendo velocemente gli appunti. Questo aiuterà a trattenere meglio ciò che si è imparato evitando di dimenticarlo velocemente.
Questo sistema (validissimo ve lo garantisco!) può essere molto utile anche in altre occasioni: nello studio del libro di testo, nella lettura di un articolo o di un saggio o per prendere appunti durante la visione di un video


sabato 19 gennaio 2013

"Niente di nuovo sul fronte occidentale" - Eric Maria Remarque

Il brano che segue è tratto dal romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” dello scrittore tedesco Erich Maria Remarque.
Il protagonista è Paul Bäumer, un giovane studente tedesco che, allo scoppio della Prima guerra mondiale, si arruola volontario insieme ad alcuni suoi compagni di scuola e si trova a combattere sul fronte occidentale, quello che oppone i soldati tedeschi ai soldati francesi.«Questo libro» scrive Remarque in apertura del suo romanzo «non vuole essere né un atto di accusa né una confessione. Esso non è che un tentativo di raffi  gurare una generazione la quale, anche se sfuggì alle granate, venne distrutta dalla guerra.» In eff etti il libro di Remarque è fondamentalmente un atto di critica nei confronti del modello di educazione tedesco che ha ingannato un’intera generazione  di  giovani,  mandandoli  a  morire  in  una  guerra  atroce  e senza senso, ma nello stesso tempo è testimonianza dei sentimenti di fratellanza, di solidarietà che nascevano tra i soldati nelle trincee e nei campi di battaglia.
Questo  è uno degli episodi più drammatici del romanzo. Il giovane protagonista, nel corso di una spedizione notturna, trova riparo in una buca creata dall’esplosione di una bomba. Ma ecco, improvvisamente, piombare accanto a lui un soldato nemico…

Si è fatto un poco chiaro. Sto per voltarmi un poco e cambiar posizione, quand’ecco qualcosa ruzzola giù – un tonfo in acqua – un corpo pesante è cascato nella buca, addosso a me...
Non penso, non decido, colpisco pazzamente, sento che il corpo sussulta, e poi si affl oscia e s’insacca: quando ritorno in me, ho la mano bagnata, viscida...
L’altro rantola. Ho l’impressione che urli, ogni suo respiro è come un grido, un tuono, ma sono soltanto le mie arterie che battono. Vorrei tappargli la bocca, riempirla di terra, pugnalarlo ancora: deve tacere, mi tradisce; ma sono già tanto tornato in me, e sono a un tratto così debole, che non posso più alzar la mano contro di lui.
Mi trascino dunque nell’angolo più lontano, e resto là, con gli occhi sbarrati, il coltello in pugno, pronto, se si muove, a saltargli addosso un’altra volta... Ma non farà più nulla, lo sento dal suo rantolare. In confuso posso vederlo. E provo un desiderio solo, venirmene via. Se non parto subito, diventerà troppo chiaro: già ora è diffi cile. Ma quando tento di alzare la testa, vedo già che è impossibile. Il fuoco delle mitragliatrici è così fitto, che sarei crivellato prima di fare un sol balzo. Faccio la prova col mio elmo, sollevandolo un poco per constatare la radenza del tiro. Dopo un istante una pallottola me lo strappa di mano: dunque il fuoco passa proprio a fior di terra. E non sono abbastanza lontano dalla posizione nemica perché qualche tiratore scelto non mi colga subito, al primo tentativo di fuga.
L’aria schiarisce sempre più. Aspetto febbrilmente un attacco dei nostri. Le nocche delle dita sembrano voler bucare la pelle, con tanto spasimo stringo i pugni, supplicando che il fuoco cessi e che i miei compagni arrivino. I minuti stillano a uno a uno. Non oso più guardare l’oscura fi gura dell’altro, che è con me nella buca. Guardo fissamente più in là, e aspetto, aspetto.
I colpi sibilano, formano una rete d’acciaio sopra il mio capo, e non cessano mai, non cessano mai.
Guardo la mia mano insanguinata e all’improvviso provo un senso di nausea: prendo un po’ di terra e la sfrego sulla mano; così almeno si sporca e non vedo più il sangue.
Il fuoco non diminuisce: ora è egualmente intenso dalle due parti.  Certo i nostri mi hanno dato per morto da un pezzo.
È giorno, un mattino chiaro e grigio. Il rantolo continua. Io mi tappo le orecchie, ma poi subito riapro le mani, perché altrimenti non odo più gli altri rumori. La figura dinanzi a me fa un movimento. Trasalisco e involontariamente guardo da quella parte. E i miei occhi rimangono fissi, come se fossero inchiodati. È un uomo con un paio di baffetti; la testa gli pende da un lato e posa inerte sul braccio a metà piegato. L’altra mano preme il petto, nero di sangue.
È morto, dico a me stesso: deve esser morto, non sente più nulla; chi rantola è soltanto il suo corpo. Ma la testa tenta di sollevarsi, il gemito si fa per un istante più forte, poi la fronte ricade sul braccio. L’uomo non è morto; muore, ma non è morto ancora. Mi trascino verso di lui, mi arresto, punto sulle mani, poi scivolo un po’ più in là, aspetto ancora: un orribile cammino di tre metri, un lungo, terribile viaggio. Finalmente eccomi presso di lui. Allora apre gli occhi: deve avermi sentito e mi fissa con un’espressione di indicibile orrore. Il corpo è immobile, perfettamente tranquillo, muto ormai, perché il rantolo è cessato; ma gli occhi gridano, urlano, tutta la vita si raccoglie in uno sforzo immenso, di fuggire, di fuggire; in uno spaventoso orrore della morte... e di me. Io mi accascio a terra, sui gomiti: «No, no» mormoro. I suoi occhi mi seguono. Non posso fare un movimento, finché mi fissano così. Adagio adagio la sua mano si stacca dal petto, solo un piccolo tratto, pochi centimetri. Ma basta quel movimento a sciogliere l’incubo di quello sguardo. Mi piego su di lui, scuoto la testa e mormoro: «No, no, no» e alzo la mano, per mostrargli che lo voglio aiutare, e gli sfioro la fronte. A quel tocco gli occhi sembrano ritrarsi; ormai perdono la loro fissità, le ciglia si abbassano alquanto, la tensione cede. Allora gli sgancio il bavero e cerco di poggiare più comodamente la sua testa. La bocca è semiaperta e si sforza di formulare parole. Ma le labbra sono aride. Non ho con me la borraccia, l’ho lasciata in trincea. Ma c’è dell’acqua motosa, giù nel fosso. Scendo, tiro fuori il fazzoletto, lo spiego nella melma, raccolgo nella mano l’acqua gialla che ne filtra. Egli la beve. Vado a prenderne ancora. Poi gli slaccio la giubba, per bendarlo se si può. Egli cerca di schermirsi, ma la sua mano è troppo debole. La camicia è attaccata alla piaga e non si lascia aprire; non mi resta che tagliarla. Allora cerco e ritrovo il mio coltello; ma quando comincio a tagliare la camicia, quegli occhi si spalancano di nuovo, e di nuovo v’è in essi quel grido, quel delirio, cosicché sono costretto a chiuderli, a tener le dita sulle palpebre, mentre mormoro: «Ma no, ma ti voglio soccorrere, compagno, camarade, camarade...». E ripeto con insistenza la parola, perché la capisca.
Sono tre pugnalate. Il mio pacchetto di medicazione le fascia, ma il sangue scorre sotto le bende; le comprimo e il ferito geme. È tutto quello che posso fare. Ora non resta altro che aspettare, aspettare...
Che ore! Il rantolo ricomincia: come è lento a morire un uomo! Perché lo so: salvarlo non è possibile. È la prima creatura umana che io abbia ucciso con le mie mani, che io possa veder da vicino, e la cui morte sia opera mia.Non so che cosa darei perché rimanesse in vita. È duro starsene qui, doverlo vedere, doverlo udire...
Alle tre del pomeriggio è morto.
Respiro: ma per poco tempo. Il silenzio mi sembra ben presto anche più insopportabile che quel gemere di prima. Il silenzio diventa lungo e vasto. Io mi metto a parlare, debbo parlare. Mi rivolgo al morto e gli dico: «Compagno, io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un’altra volta qua dentro, io non ti ucciderei, purché anche tu fossi ragionevole. Ma prima tu eri per me solo un’idea, una formula di concetti del mio cervello, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora pensai alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo il tuo volto e quanto ci somigliamo. Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore, e la stessa morte e lo stesso patire... Perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello, come Kat, come Alberto. Prenditi venti anni della mia vita, compagno, e alzati; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare».
Silenzio. Il fronte è tranquillo, salvo il crepitare della fucileria. Il tiro è fitto, non si spara a caso, si mira bene da ambe le parti. Uscire è impossibile.
da “Niente di nuovo sul fronte occidentale”

lunedì 7 gennaio 2013

CLIMA

Clima
L'insieme delle condizioni atmosferiche medie nella loro abituale successione al di sopra di una regione durante un determinato periodo, considerate anche in rapporto agli effetti che producono sulla morfologia terrestre e sulla distribuzione degli organismi vegetali e animali; o, più brevemente, la serie di stati atmosferici che si manifestano sopra una località lungo l'arco di un anno.

Elementi climatici. Si chiamano elementi del clima tutti quei fenomeni meteorologici che nelle loro diverse combinazioni definiscono il clima; essi sono considerati nei loro valori medi ottenuti attraverso osservazioni durante numerosi anni. I principali elementi climatici sono: l'insolazione, la temperatura, la pressione, l'umidità , le precipitazioni e la nuvolosità.
Insolazione. È elemento di fondamentale importanza in quanto da esso dipendono direttamente o indirettamente tutti gli altri fenomeni atmosferici: dell'energia solare che arriva nell'atmosfera, una parte (radiazioni più corte) viene diffusa dalle nubi e dalle molecole dei gas costituenti l'aria , una parte è assorbita dal vapor acqueo e dall'anidride carbonica, una parte (radiazioni lunghe) arriva al suolo dove viene assorbita e nuovamente irradiata nell'atmosfera. L'entità dell'insolazione misurabile sulla superficie terrestre durante il giorno dipende dall'angolo di incidenza dei raggi solari e dalla durata del dì; notevole influenza è esercitata dalla nuvolosità: l'insolazione, che teoricamente diminuisce dall'Equatore ai poli, non ha infatti il suo massimo all'Equatore, ma in corrispondenza dei tropici, dove la trasparenza dell'aria è maggiore.
Temperatura. La distribuzione della temperatura sulla superficie terrestre viene rappresentata mediante le isoterme annue, linee che uniscono tutti i punti di egual temperatura media annua, ridotta a livello del mare; esse indicano che la temperatura, seguendo l'andamento dell'insolazione, diminuisce dall'Equatore ai poli: la zona più calda non è però quella equatoriale dove l'abbondante vegetazione e la forte umidità provocano l'abbassamento dei valori medi, ma una zona continentale (equatore termico) spostata verso il Tropico del Cancro; così i poli del freddo non coincidono con i poli geografici, ma sono spostati nelle regioni circumpolari continentali. Per gli studi climatici hanno anche grande interesse le escursioni termiche tra le medie dei massimi e dei minimi diurni, mensili e annui.
Pressione. È importante soprattutto per l'influenza che esercita su molti fenomeni atmosferici, quali i venti, le precipitazioni, i moti convettivi dell'aria; notevole importanza ha anche per i cosiddetti climi di altitudine, poiché la diminuzione di pressione con l'altezza influisce non solo su alcuni parametri fisici (temperatura, umidità ecc.) ma ha anche notevoli effetti fisiologici sugli organismi viventi.
Umidità. Quanto all'umidità, si possono considerare sia l'umidità assoluta sia quella relativa; agli effetti di uno studio climatico si preferisce considerare l'umidità relativa, la cui variazione provoca effetti sensibili anche sugli organismi. L'umidità varia in continuazione con l'evaporazione e con le precipitazioni atmosferiche; le regioni meno umide sono quelle lontane dai mari e prive di vegetazione. L'umidità diminuisce anche con l'altezza, quella assoluta molto rapidamente, mentre l'umidità relativa decresce lentamente poiché diminuisce contemporaneamente la temperatura.
Precipitazioni. Sono un elemento climatico, dipendente soprattutto dalla temperatura e dall'umidità dell'aria, molto usato nelle classificazioni climatiche. Vengono usati i totali mensile e annuo di tutte le precipitazioni, la frequenza e l'intensità delle piogge, i valori medi mensili e, in particolare, il regime delle precipitazioni, cioè la loro ripartizione mensile e stagionale. Nuvolosità. Influisce sulla temperatura in quanto impedisce a gran parte della radiazione solare di giungere al suolo; d'altra parte trattiene le radiazioni caloriche emesse dal suolo impedendo un forte raffreddamento notturno e riducendo quindi l'escursione termica diurna.

Fattori climatici. Si chiamano fattori climatici le condizioni che producono variazioni sugli elementi del clima; si distinguono fattori zonali che agiscono con regolarità dall'Equatore ai poli e fattori geografici che agiscono in modo diverso per ogni località.
Fattori zonali. Sono fattori zonali: la latitudine, per cui dall'Equatore ai poli diminuisce la temperatura poiché l'energia solare che la superficie terrestre riceve decresce; la circolazione generale atmosferica, che influisce attraverso gli scambi di calore tra le regioni calde intertropicali e le regioni più fredde delle medie e alte latitudini.
Fattori geografici. Sono fattori geografici l'altitudine, la distribuzione delle terre e dei mari, le correnti marine, la vegetazione e l'attività umana. L'altitudine ha grande influenza sul clima poiché con l'altezza diminuiscono la temperatura, la pressione e l'umidità, mentre aumentano l'irraggiamento solare e, fino a una certa quota, la piovosità. Molto importante è anche la disposizione dei rilievi: una catena montuosa trasversale alla direzione prevalente dei venti può provocare forte piovosità nel versante sopravvento e siccità nel versante opposto. Per questi motivi è stato definito un particolare clima, detto clima montano, caratterizzato da forti escursioni termiche, diurne e stagionali, da notevoli variazioni locali e da instabilità atmosferica. La distribuzione delle terre e dei mari provoca notevoli modificazioni dei valori della temperatura alle diverse latitudini. Il suolo ha scarsa capacità termica e si riscalda velocemente, ma altrettanto rapidamente cede il calore agli strati atmosferici; i continenti sono quindi soggetti a sbalzi termici notevoli sia giornalmente sia durante l'anno; al contrario il mare, potendo trasmettere il calore attraverso moti convettivi, ha una notevole capacità termica e può quindi cedere lentamente il calore ricevuto attenuando le oscillazioni di temperatura. Si possono perciò distinguere due tipi climatici: il continentale e il marittimo; il primo è caratterizzato da forti escursioni termiche, da scarsa umidità e da limitate precipitazioni, mentre il secondo è caratterizzato da una certa uniformità tra estate e inverno, da deboli escursioni e da maggiore umidità e piovosità. Le correnti marine agiscono sul clima delle regioni costiere interessate: le correnti calde lo rendono costantemente caldo-umido, mentre quelle fredde lo rendono freddo-umido. La vegetazione, quando è molto abbondante, provoca una diminuzione di temperatura e un aumento di umidità soprattutto in corrispondenza dei mesi più caldi. L'attività umana in generale agisce sul clima in quanto modifica l'ambiente fisico-biologico naturale. 

Classificazione dei climi. L'estrema variabilità dei fenomeni climatici rende possibile un numero elevatissimo di combinazioni e quindi di tipi climatici; per questo motivo una classificazione che comprenda tutti i climi della Terra è piuttosto problematica. In generale si può dire che una classificazione è tanto più completa quanto più numerosi sono gli elementi climatici che prende in considerazione. Criteri di classificazione. In passato si definiva il clima della Terra solo in base alla temperatura e pertanto si distinguevano cinque fasce termiche: una zona torrida equatoriale, due zone temperate alle latitudini medie e due zone fredde polari. Le classificazioni attuali si basano su due elementi principali, la temperatura e le precipitazioni o l'umidità (spesso in relazione alla distribuzione dei vegetali), che sono legati a molti altri fenomeni atmosferici e che sono anche facilmente misurabili.

Cicli climatici. Alcuni studiosi hanno dedotto dall'osservazione del clima, protratta per lunghi periodi di tempo, l'esistenza di oscillazioni che si succedono nel tempo con una certa ritmica regolarità. Il ciclo climatico più noto è quello segnalato da Brückner, secondo cui si avrebbe ogni 35 anni un gruppo di annate piovose e fredde seguite da annate calde e secche; un altro ciclo proposto per l'Europa è quello in cui s'individua, ogni 11 anni, un gruppo di inverni molto rigidi. L'esistenza dei cicli climatici non è ancora stata sufficientemente dimostrata; fino a oggi essi sono stati individuati con sicurezza solo su estensioni limitate.

Quali sono i fattori che influenzano il clima?
Si chiamano fattori climatici le condizioni che producono variazioni negli elementi del clima.
Molto importante è l'inclinazione con cui i raggi solari arrivano sulla Terra. All'equatore dove il Sole passa alto nel cielo tutto l'anno, i raggi giungono quasi sempre verticali e si distribuiscono quindi su una superficie più piccola, riscaldandola con maggiore efficacia. Man mano che ci si avvicina ai Poli, i raggi giungono sempre più inclinati e quindi distribuendosi su una superficie maggiore, riscaldano sempre più debolmente la superficie terrestre.
Il clima è anche influenzato dalla disposizione dei continenti e degli oceani sulla superficie terrestre.
Il mare impiega circa il doppio del tempo per riscaldarsi rispetto alla terraferma in primavera e in estate, ma anche più a lungo trattiene il calore in autunno e in inverno. Lungo le coste l'inverno è quindi mite e l'estate fresca (clima marittimo); nelle regioni interne, l'inverno è invece rigido e l'estate calda e afosa (clima continentale).
Le correnti oceaniche contribuiscono a rendere più mite il clima di intere regioni quando portano acqua calda dalle regioni tropicali verso i Poli (es. Corrente del Golfo). Esse rendono invece il clima più rigido e arido quando trasportano acque fredde dalle alte alle basse latitudini (es. Corrente di Humboldt che risale dal polo Sud lungo le coste Pacifiche dell'America meridionale). La presenza di una catena di montagne, infine, può formare uno sbarramento naturale alle masse d'aria umida provenienti dal mare. Piogge molto intense si riversano in questo caso sul versante rivolto verso il mare, mentre l'interno risulta caratterizzato da una notevole aridità.